Gianluca Fantacci
presidente del Gruppo Utensilieri

Articolo di Luca Rossetti pubblicato sulla rivista Xylon maggio-giugno 2020

Non sarà un giovanotto di primissimo pelo, ma Gianluca Fantacci ha le carte in regola – età, esperienza, curiosità, voglia di condividere – per essere un ottimo presidente del gruppo di imprenditori che in Acimall rappresenta il mondo dell’utensile.

Nell’ultimo numero di Xylon avete avuto modo di leggere il saluto di Mario Baldo, che ha lasciato il settore e, dunque, anche la guida del Gruppo utensilieri, una sorta di “discontinuità” nella associazione che rappresenta le aziende impegnate nelle tecnologie per il legno e i suoi derivati, in quanto è l’unico segmento, comparto per il quale è stato deciso di istituire un gruppo, uno specifico ambito di rappresentanza.

Gli scopi sono facilmente intuibili: confrontarsi sulle problematiche più urgenti, supportare gli interessi delle aziende italiane in tutte le sedi dove sia necessario, attivare iniziative per accrescere la conoscenza delle attrezzature “made in Italy”.

Qualche mese fa, prima dell’uragano che ci ha tutti travolti, l’assemblea del gruppo ha scelto il nuovo presidente, chiamando Gianluca Fantacci della G3 Fantacci di Poggibonsi, a un tiro di schioppo da Siena.

Lo abbiamo intervistato, rigorosamente per telefono perché ancora nel periodo in cui era bene uscire di casa il meno possibile, e la nostra chiacchierata non poteva che avviarsi proprio dal contesto: “Devo dirle che lo scenario “pre-virus” mi sembra lontanissimo. Sono state settimane così dure e intense che ogni giorno è durato una settimana, qualche volta un mese. Ho avuto tutto il tempo per pensare a questo mio nuovo incarico, alle motivazioni che mi hanno spinto ad accettarlo, a quello che vorrei condividere e fare… Voglio subito precisare – aggiunge Fantacci con una risata – che non è che ci fossero decine di candidati a contendersi il posto da presidente, credo soprattutto perché non è mai stato facile in passato tradurre il valore delle persone, degli “animatori” di questo gruppo, in iniziative che lasciassero il segno. Io, ad esempio, conoscevo questa realtà, partecipavo agli incontri ma – esattamente come tutti i miei colleghi – ho sempre avuto la sensazione che avremmo potuto, dovuto fare di più.

E allora entro subito in argomento: l’utensile italiano esprime competenze, qualità e servizi oramai riconosciuti in tutto il mondo, pur nascendo da un tessuto economico quanto mai segmentato, disperso. Diciamo che tolte le “filiali” dei grandi colossi tedeschi, con fatturati di diverse centinaia di milioni, la più grande delle nostre imprese arriva al massimo a quota 100 milioni. Salta immediatamente all’occhio che la prima domanda a cui dovremmo tutti rispondere è perché non uniamo le nostre forze. Lo so, non me lo dica anche lei: è un discorso fatto molte volte e senza risultato, ma mi permetta di provarci, perché io credo che sia assolutamente indispensabile sciogliere questo nodo, altrimenti correremo sempre per il mondo senza avere tutti quegli strumenti e quelle potenzialità che ci permetterebbero di esprimere ben altro. Lavoriamo come fossimo tanti ristoranti, ciascuno dei quali offre una portata, ma i nostri clienti vogliono un pasto completo o almeno un primo e un secondo, per cui eccoci a comprare e vendere fra di noi, cercando di creare un qualche tipo di relazione, sempre molto disorganica, per dare risposte più utili agli utilizzatori. 

Non solo: andiamo tutti alle stesse fiere e magari proponiamo lo stesso prodotto che il nostro concorrente ha in vetrina, esattamente lo stesso, prodotto dalla stessa azienda. Non pensa sarebbe ora di trovare il modo di cambiare aria? Cerchiamo tutti qualcuno che ci aiuti commercialmente nei vari mercati, compriamo gli stessi materiali e le stesse macchine, soffriamo le identiche problematiche, rispondiamo alle stesse norme tecniche… facciamo business insieme, di fatto, ma facciamo finta che non sia così. Perché non abbiamo mai voluto ufficializzare la rete che fra noi esiste? Perché non trovare la formula rispettosa delle tante sovranità coinvolte ma che ci permetta di essere imprenditori migliori, di far crescere le nostre imprese, di rendere ancora più rilevante la nostra presenza nei territori dove viviamo e lavoriamo?”.

Per questo ha accettato?

“Sì. Sono convinto che questo mondo sia da cambiare e dobbiamo farlo, o almeno provarci, in tutti gli ambiti in cui ci esprimiamo. Non ho scelto certo il momento migliore: reduci da una stagione economica non certo entusiasmanti ci siamo ritrovati a combattere il coronavirus, senza ancora sapere – dopo mesi di fatiche e troppo dolore – dove tutto questo ci condurrà. E attorno, badi bene, continua più accesa che mai la competizione di una produzione internazionale dominata da grandissime realtà che offrono molto ma che hanno anche qualche limite.

Ecco, vorrei che i valori dell’utensile italiano fossero conosciuti da tutti, che tutti sapessero che c’è un Gruppo utensilieri e che noi che ne facciamo parte si possa lavorare insieme per il vantaggio di ognuno.

Un’altra cosa: vengo presentato come “giovane”, anche se in realtà non sono certo un ventenne. Spero sia un plus concreto, che mi permetta magari di essere più coinvolgente verso le seconde generazioni, superando quelle che potrebbero essere le consuetudini dei padri”.

Presidente, lei ha accennato alla competizione internazionale…

“… un contesto nel quale troviamo grandi che diventano sempre più grandi, nazioni nelle quali si produce sempre di più e con una qualità ogni giorno migliore. Se noi resteremo piccoli e separati potrebbero metterci davvero poco a far di noi un solo boccone. Un tessuto industriale fatto di piccole realtà non può avere successo per sempre, perché non può più bastare il fare utensili di buona qualità per le imprese dei dintorni o puntare sulla velocità nella risposta, per cui se ci chiedono una fresa particolare per il giorno dopo li accontentiamo. Per carità: questo è un valore indiscutibile, ma che deve essere parte di una visione industriale che abbia ben altri confini. Non è un segreto che oggi almeno il 50 per cento della produzione italiana di utensili prenda la strada della esportazione. Gli utensili, poi, sono cambiati molto negli anni: si sono diversificate le produzioni, sono aumentati gli automatismi e ci sono sfide sempre più condizionanti dal punto di vista finanziario. Bisogna investire in ricerca. E non solo per vendere. Le dimensioni contenute delle nostre aziende non ci permettono di fare investimenti importanti, perché è evidente che la nostra capacità di investire parte dai nostri fatturati; non possiamo nemmeno pensare di accettare grandi commesse, se ce ne fosse l’occasione, perché non abbiamo la struttura per soddisfarle in tempi contenuti se non mettendo in pratica quella “collaborazione sotterranea” che esiste fra noi. E non posso nemmeno trarre vantaggio da richieste particolari che potrebbero invece darmi un vantaggio rispetto ad altri…”.

Prigionieri di voi stessi?

“Forse sì. E non ho ancora accennato al rapporto che deve esserci con i costruttori di macchine, indispensabile per lo sviluppo di nuovi utensili, di nuove soluzioni che permettano al connubio macchina-utensile di mantenere le promesse.

Devo dire che in Toscana i rapporti con i costruttori presenti in regione è buono, per quanto si tratti necessariamente di relazioni cliente-fornitore, nulla di più: ci si da una mano senza stabilire relazioni preferenziali, anche se mi risulta che esistano realtà che hanno intrapreso strade diverse, con l’idea di essere certamente più “autosufficienti”.

Vede, uno dei miei impegni come presidente del Gruppo utensilieri sarà certamente il chiamare tutti a essere più partecipi, il primo dei tre punti che ho proposto alla discussione in occasione dell’ultima assemblea. Dobbiamo convincerci che l’unione fa la forza e che non possiamo aspettare ancora. Bisogna pensare anche a una maggiore digitalizzazione delle nostre aziende, così da rendere tutto più semplice, veloce e condivisibile; terzo punto il comprendere come lavorare di più e meglio con i produttori di macchine, creando occasioni di incontro e di comunicazione che ci permettano di mostrare loro cosa abbiamo da offrire. In fondo siamo parte di questo mondo, siamo tutti membri di Acimall, e ci piacerebbe uno scambio di idee più “ravvicinato”, magari inizialmente finalizzato alla realizzazione di seminari e incontri su temi di comune interesse”.

Cosa ve lo impedisce?

“Nulla, ma tutto ciò che abbiamo detto finora rende tutto complicato: siamo “solo” una ventina di imprese e arriviamo a 110, 120 milioni di fatturato, buona parte dei quali realizzati dai soliti noti. Due terzi di noi arrivano attorno ai due milioni di fatturato. Se accettiamo di chiamare le cose con il loro nome ecco che lavorare insieme diventa un imperativo assoluto. Mi piace dire che alcuni di noi condividono diverse idee e qualche progetto, perché abbiamo le stesse preoccupazioni per il futuro e sappiamo che non possiamo stare a guardare.

Dobbiamo parlarci di più, creare opportunità di confronto che ci permettano di conoscerci ancora meglio e arrivare a formulare progetti concreti e condivisi, che possano portare a un miglioramento per tutti: sono sicuro che se ci incontrassimo potremmo presto creare una piattaforma di idee e di proposte innanzitutto per i costruttori di macchine, alla ricerca di nuove sinergie. Potremmo anche avere delle sorprese positive, accorgerci che qualcosa già bolliva in pentola e che in realtà la collaborazione con chi monta i nostri utensili può arrivare a livelli ancora più alti e “integranti”.

Potremmo avviare un circolo virtuoso in materia di formazione del nostro personale commerciale, un aspetto sul quale c’è davvero tanto da fare, perché gli utensili sono prodotti sempre più evoluti ed è indispensabile poter contare su agenti, rappresentanti, rivenditori che sappiano proporre e spiegare tutte le loro peculiarità. Perché non immaginare un’accademia, un percorso di formazione magari condiviso con per poi entrare nelle nostre aziende? Potremmo creare molte più opportunità”.

Presidente, da dove partiamo?

“Da una visione del futuro e dalla esperienza. Nella mia realtà lavorano diciotto addetti per un fatturato attorno ai 2,5 milioni, realizzato vendendo quasi esclusivamente prodotti fatti nella nostra fabbrica. Lavoriamo molto con il telefono, con skype, con le chat, avendo persone in ufficio che parlano diverse lingue. Siamo specialisti nella piallatura e nella costruzione di sedie, per quanto negli ultimi anni si sia sempre più “generalisti”. Io, noi siamo questo. Siamo la fatica che abbiamo messo in molti perchè questa realtà sia ancora sana e vitale. Ora è tempo di nuovi paradigmi: ciascuno deve portare la propria storia in un sogno più grande. Assolutamente!”.

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